STUDI CATTOLICI
Maggio 2009
Arti visive. La regina Makeda a Ca’ Foscari (pag. 372)
E’ chiamata Makeda la Regina di Saba nella tradizione degli etiopi; la leggenda vuole che dalla sua relazione con Salomone sia nato Menelik I, primo imperatore dell’Etiopia. La storia della mitica regina, documentata nei libri e nelle immagini della locale tradizione cristiana, è il punto di partenza dell’affascinante percorso espositivo della mostra Nigra sum sed formosa, Sacro e bellezza dell’Etiopia cristiana, aperta a Venezia, nella Ca’ Foscari, e che ripercorre con icone, codici miniati, croci, sculture, dipinti di suggestiva bellezza e finora mai esposti al pubblico, la storia sacra di una delle più affascinanti tradizioni artistico-religiose del continente nero. L’esposizione veneziana è la prima mai allestita in Italia e la sua collocazione nella città lagunare assume un valore simbolico. Fu Venezia infatti, soprattutto nel quindicesimo secolo, ad avere rapporti privilegiati con l’impero del Leone, all’epoca del grande re Zar’a Ya’qob. “Sono nera, ma bella” La citazione che titola la mostra: “Nigra sum sed formosa”, sono nera ma bella, tradizionalmente riferita alla regina di Saba, capostipite dell’Etiopia nel poema epico nazionale, il “Kebra Negast”, La gloria dei re, è tratta, come è noto, dal Cantico dei Cantici. La storia della regina è variamente narrata nei testi antichi. Nel poema etiope, che si vuole tradotto dall’arabo nella prima metà del XIV secolo, ma che certamente ingloba e rielabora materiali assai più vecchi e che in parte concorda con il biblico libro dei Re, la regina di Saba si recò in visita a Gerusalemme da re Salomone. Secondo la Bibbia, l’anonima regina era venuta a conoscenza della grande saggezza del re d’ Israele e s’era messa in viaggio portando con sé spezie, oro e pietre preziose (1 Re 10, 1-13; 2 Cronache 9, 1-12).
Durante l’incontro la donna fu rapita dalla saggezza e pronunciò una preghiera di ringraziamento a Dio, che la ricambiò con molti doni. Dal canto suo Salomone rimase incantato dalla bellezza di lei. E’ del resto con la regina di Saba che l’ebraismo mise radici in Etiopia. Nella tradizione e nell’arte cristiana, si racconta anche che la regina durante il suo viaggio a Gerusalemme, colta da profetica intuizione, si inginocchiò di fronte al legno del ponte sul fiume Siloe, il legno destinato un giorno a diventare la croce di Gesù. Una tale circostanza è stata oggetto di molti dipinti, soprattutto in epoca medievale, dopo la diffusione della Leggenda aurea di Iacopo da Varazze, primo tra tutti il celebre dipinto di Piero della Francesca, La leggenda della Vera Croce, ad Arezzo. La tradizione occidentale si è spinta oltre, assimilando la Regina alla Vergine. La mitica figura sarebbe “figura”, ossia anticipatrice tipologica della seconda. Di qui il culto della Madonna nera. L’origine della Regina di Saba Anche l’ubicazione di Saba non è chiara. Non si ha certezza di dove si trovasse il regno di Saba, che pure è documentato in tutti i testi sacri antichi. Recentemente alcuni studiosi arabi hanno ipotizzato che la mitica città non si trovi nello Yemen, come ritiene la gran parte degli studiosi, ma nel nord ovest dell’Arabia Saudita ed effettivamente gli scavi archeologici in quelle regioni confermano l’esistenza di colonie commerciali di grosso rilievo, che farebbero pensare ad una terra gloriosa e ricca.
D’altro canto, è stato provato che le antiche comunità etiopi erano formate da una popolazione semita, emigrata attraverso il Mar Rosso dall’Arabia meridionale, mescolatasi con i locali abitanti non semiti. Inoltre, l’antico regno etiope di Axum ha governato anche una parte dell’Arabia meridionale, che comprendeva lo Yemen fino alla nascita dell’ Islam nel VII secolo. Per di più, l’amarico e il tigrino, le due principali lingue dell’Etiopia, sono lingue semitiche. Insomma l’origine natale della mitica regina resta avvolta nel mistero. L’Etiopia cristiana Ufficialmente l’Etiopia è cristiana già a partire dalla prima metà del secolo IV. Il suo legame più stretto è con Alessandria d’Egitto, il cui patriarca nomina il metropolita della capitale del regno. Le due Chiese, l’egiziana copta e l’etiopica, sono rimaste da allora legate anche nella fede monifisita, che in Cristo riconosce la sola natura divina. Entrambe infatti accettano i tre primi Concili, quelli di Nicea, Costantinopoli ed Efeso, ma non quello di Calcedonia, del 451, che fissò la dottrina delle due nature di Cristo, la divina e l’umana. Per tale ragione le Chiese copta ed etiopica sono anche definite “precalcedonesi”. Il libro epico etiope dei Re, il Kebra Nagast, contiene la storia di Makeda e dei suoi discendenti. In esso si scrive di come Menelik abbia trafugato l’ Arca dell’Alleanza portandola da Gerusalemme all’Etiopia, ove probabilmente si trova tuttora. Della relazione tra Arabia ed Etiopia si hanno anche molti reperti archeologici e alcune iscrizioni nell’antico alfabeto della penisola arabica meridionale. Di ciò nella mostra veneziana si danno alcune prove, analizzando la tipologia dei manufatti e la loro forma decorativa. D’altra parte l’isolamento della cultura locale, accresciuto dalla circostanza che tutte le popolazioni circostanti sono di fede musulmana, ha consentito il perpetuarsi di costumi e tradizioni culturali e religiose antichissimi.
La mostra
Il percorso è strutturato secondo un itinerario tematico articolato in capitoli, tra cui quello introduttivo, come si è scritto, dedicato alla regina di Saba, all’impero di Axum, ai grandi sovrani cristiani; quello dedicato alla città santa di L’libal’ e infine quello che documenta l’arte e la figura del grande pittore veneziano del quindicesimo secolo Niccolò Brancaleon: dunque un lungo affascinante racconto, in cui si entra suggestivamente in contatto con una cultura caratterizzata da una forte impronta autoctona, profondamente intrecciata con i valori della fede cristiana. Alcune sagome di un etiope nel suo caratteristico abbigliamento accompagnano il visitatore dal ponte di Ca’ Foscari fin dentro l’area espositiva (una di esse, alta dieci metri, costituire di per sé l’entrata della rassegna). Il piano terremo è organizzato in modo da attirare il visitatore verso l’interno: serie di fotografie, filmati, musiche lo conducono alle acqueforti di Lino Bianchi Barriviera sulle chiese rupestri di L’libal’. Scorci e decorazioni di questi edifici sono proiettati sulle pareti delle sale adiacenti al salone di ingresso, sul cui soffitto viene altresÏ proiettato una sorta di rotolo magico random, realizzato a partire dalle combinazioni degli elementi iconografici di quelli esposti in mostra. Nella sala di collegamento al piano superiore una processione circonda vetrine con croci astili e invita lo spettatore a salire al secondo salone, dove lo attende il mappamondo di Fra Mauro, capolavoro cartografico della biblioteca marciana.
Questo secondo salone è tutto giocato sul denso simbolo del libro: codici miniati e rotoli magici, giustapposti alle prime testimonianze dei viaggiatori europei in Etiopia. Le sale contigue allineano decine di preziose icone, totalmente inedite, datate dal XIV al XIX secolo. Una di esse si incentra, come si è scritto, sulla figura di Niccolò Brancaleon, il pittore veneziano inviato dal doge in Etiopia nell’ultimo scorcio del ‘400. Sono in mostra alcune sue opere e i preziosi libri di modelli che scaturirono dal suo arrivo in terra d’Africa. E’ da sottolineare infine anche il carattere didattico della mostra, che, al di là della prospettiva scientifica, mette in campo una serie di tecnologie informatiche innovative, che consentono di gustare il percorso espositivo con un forte impatto visivo e con il supporto simultaneo e comparato di molteplici informazioni. D’altro canto la rassegna è stata concepita anche per la stessa facoltà che la ospita come un grande laboratorio, coinvolgendo docenti, ricercatori e allievi in un progetto sperimentale di nuove tecniche di fruizione dell’arte.
Giorgio Agnisola