STUDI CATTOLICI Aprile 2009
Viaggi & panorami, anche interiori
A Ravenna Artisti viaggiatori – A Rovigo si guarda “oltre il paesaggio”
Nel diciannovesimo secolo quel gusto per l’esotico e il primitivo, che aveva per secoli alimentato l’immaginario creativo, in un suggestivo connubio tra scienze ed arti (testimonianze straordinarie di questo sguardo transdisciplinare furono le wunderkammer, le “Camere delle meraviglie”, che a partire dal Rinascimento e ancora prima sorsero in tutt’Europa), assunse un significato nuovo: non solo costituì il luogo reale o fantastico di una fuga dagli stereotipi dell’accademia e la rivendicazione, talora radicale, di una nuova libertà del vivere e del sentire, ma anche, per gli artisti e non solo, l’esercizio di una rinnovazione del linguaggio. La partenza verso terre lontane, l’Oriente e l’Oceania soprattutto, fu l’occasione per restituire all’arte una sua verginità, per alimentare lo sguardo di inusitate suggestioni, per approfondire culture artistiche poco conosciute, ma anche per catturare paesaggi e colori mai visti e rileggerli nell’opera, nel momento di modificare lo stile.
L’impressionismo, come è noto, fu ampiamente tributario del linearismo giapponese; l’arte fin de siécle ( e quella del primo Novecento) subì la profonda influenza dell’arte africana. Solo in seguito, in pieno Novecento, il viaggio assunse motivazioni differenti: divenne a volte migrazione, come per gli artisti ebrei che ripararono negli Statu Uniti durante il nazismo, o semplicemente trasferimento nei grandi centri mercantili.
Una mostra promossa dal Comune di Ravenna presso il Museo d’Arte della città ( L’artista viaggiatore. Da Gauguin a Klee, da Matisse a Ontani, a cura di Claudio Spadoni e Tulliola Sparagni), aperta fino al prossimo giugno, indaga i percorsi e i luoghi esplorati dagli artisti negli ultimi due secoli, all’interno della loro produzione, analizzando i soggetti delle loro opere, ma anche le soluzioni espressive che testimoniano direttamente e indirettamente del loro viaggio.
Si parte dal realismo ottocentesco e nostrano, dalle opere di Caffi, Ussi, Pasini e Giastalla, i cui lavori raccontano i loro cammini al seguito delle spedizioni diplomatiche nel Medio Oriente, per poi inoltrarsi nelle ricche testimonianze del postimpressionismo e dell’espressionismo. Gauguin abbandonò come è noto le certezze economiche e la tranquillità borghese della sua condizione sociale per intraprendere i viaggi polinesiani. Nel primi anni del ‘900, Nolde, Pechstein e Matisse furono in Oceania. Klee, Macke, Moillet furono, nel 1914, a Tunisi e successivamente ad Hammamet, alla ricerca delle potenzialità della luce e del colore. Kokoschka fu in Egitto nel 1920 e Dubuffet nel deserto algerino negli anni ’50. Protagonisti dell’informale, come Tobey e Mathieu, rimandarono con la loro astrazione lirica al calligrafismo giapponese, meta condivisa da viaggiatori contemporanei come Mondino, Boetti, Ontani.
Spesso le “scoperte” sono testimoniate da appunti di viaggio, da lettere, da articoli giornalistici. Klee racconta della bellezza indescrivibile delle sere tunisine; Matisse sospira per i “grigi verde giada” delle lagune e per le “bande di pesci blu, gialli, zebrati di nero”. Nolde ricorda con timore gli sguardi che definisce ostili, “come di pantere e leopardi” degli indigeni. Nostalgia, desiderio, paura, felicità ispirano la loro arte, così come era stato per gli scrittori, da Marco Polo a Flaubert, a Cousteau. Per gli artisti s’è trattato sempre di un viaggio anche nella personale storia inventiva, di una avventura nello spazio interiore. E’ ciò che testimonia esemplarmente la mostra riminese.
Di diverso taglio, ma per alcuni aspetti in una singolare linea di continuità, una esposizione appena aperta a Rovigo. Se in qualche misura la mostra degli artisti viaggiatori proietta infatti lo sguardo a ritroso, alla ricerca di nuove suggestioni e nuove soluzioni linguistiche, Oltre il Paesaggio, rassegna aperta a Pieve di Soligo fino al 19 Aprile, nella storica Villa Brandolini, indaga il presente e il futuro di un tema dell’arte che sembra obsoleto nel flusso delle ricerche contemporanee. L’arte presente sembra a primo avviso aver accantonato quello sguardo al paesaggio e alle sue suggestioni, anche simboliche ed emozionali, che aveva caratterizzato tanta arte del diciannovesimo secolo e che aveva in gran parte alimentato, appunto, l’immaginario degli artisti viaggiatori. Oggi, in epoca globale, il viaggio è rientrato nell’ordinario, si rinnova nei suoi riferimenti ideali e psichici. Rispetto allo sguardo, dunque, e allo sguardo paesaggistico in particolare, la domanda è se sia attuale una espressione naturalistica in un’epoca di sostanziali attentati alla integrità dell’ambiente, e come possa essere letto, e come di fatto sia stato letto il paesaggio nelle attuali ricerche visive.
La mostra è ispirata da un bel progetto di Dino Marangon, che ha per suggestivo titolo “Possibile Paesaggio”: una ricerca sia sulla difesa che sul superamento delle tradizionali categorie della veduta, in vista anche di una sua rifondazione teoretica, sull’orizzonte delle attuali ricerche espressive e della stessa prospettiva paesaggistica. Quali sono, dunque, le suggestioni, i riverberi emotivi e psicologici che pure all’interno di un’arte non più naturalistica possono evocare la temperie e il gusto del paesaggio? E’ lecito parlare ancora di paesaggio nell’arte presente?
Il curatore intende sviluppare il percorso espositivo in cinque capitoli, che articolerà nel corso degli anni, con una attenzione non solo documentaria e critica, ma anche estetico-filosofica. L’appuntamento di quest’anno ha per titolo “Oltre il paesaggio” e indaga, come s’è accennato, le zone di confine tra il paesaggio realistico, riconoscibile nelle sue connotazioni fisiche, e quello che dall’interno viene rappresentato come suggestione fantastica, come riflesso emozionale e psicologico, “alla ricerca di ciò che, nell’arte dell’ultimo mezzo secolo… tende al superamento di ogni immediata referenzialità esterna, attraverso la costruzione di un ambiente immaginativo, concepito come ritmo astratto della natura, come puro spazio cromatico, come analisi dei mezzi stessi della pittura, come sedimentazione alchemica ed esplorazione dei nuovi media”.
Se infatti in alcuni dei protagonisti dell’arte del dopoguerra italiano, come Birolli, Santomaso, Turcato, Vedova, Afro, la metafora realistica continua a far intravedere poetici rapporti con la realtà fenomenica, nello Spazialismo di Virgilio Guidi, di Mario Deluigi, di Vinicio Vianello, di Anton Giulio Ambrosini, di Tancredi, di Edmondo Bacci e di Gino Morandis si consuma ogni riferimento all’orizzonte naturale per attingere a più ampie visioni cosmiche, ideali ed escatologiche. E’ appunto questo passaggio sottile ed estremamente interessante anche sotto il profilo critico, che la mostra di Pieve intende indagare, esponendo un consistente numero di opere di personalità di notevole spessore e originalità, utile anche per ricostruire il complesso intreccio della civiltà artistica gravitante nella seconda metà del secolo scorso attorno a Venezia, ai suoi musei, alle sue gallerie.
Giorgio Agnisola