Esiste una critica d'arte sacra?
L'interrogativo a primo avviso può sembrare superfluo e persino fazioso. La critica d'arte, viene subito da dire, deve prescindere dal contenuto tematico o specialistico di un'opera. Ma ad un'analisi più attenta della questione, le cose appaiono subito più complesse. La critica riguarda sostanzialmente, al di là di ogni criterio o prospettiva di giudizio, la comprensione di un'opera d'arte in relazione al suo linguaggio, il che significa grazie ad esso e per il suo tramite. Ma il linguaggio non è un rivestimento, non investe semplicemente la modalità di dire, è tutt'uno con il contenuto dell'opera, ovvero quanto è rappresentato. Ciò che si dice è sempre in relazione a ciò di cui si dice, sia che si tratti di opera figurativa, sia astratta, sia altra espressione artistica.
Eppure nella pratica dell'esercizio critico la lettura delle immagini d'arte sacra è spesso decontestualizzata rispetto al loro contenuto religioso. Al più l'analisi prende in esame l' ambito iconografico e simbolico. Non si vuole semplicemente affermare la necessità di una critica che investa il senso dell'opera sacra e non si limiti ad una lettura formale e tanto meno ideologica, il che tutto sommato è scontato. Si sta puntando la lente sui motivi ispirativi del linguaggio, che nel caso dell'arte sacra necessitano, per essere compresi a fondo, anche di una sincera immersione nello spirito religioso e non solo di una astratta conoscenza di formule espressive e di termini simbolici.
Con ciò non si vuole dire che solo un uomo di fede può giudicare correttamente un'opera d'arte sacra. Si vuole solo chiarire che l'analisi critica, in generale, non può esaurirsi in una astratta ricognizione storica e stilistica. L'analisi per essere autentica deve raggiungere le motivazioni profonde dell'opera, per quanto è possibile indagare il mondo dell'artista, le radici della sua tensione creativa ed espressiva. La ricognizione critica non è solo un viaggio nei territori del linguaggio; è sempre un affondo nelle ragioni della vita.
Giorgio Agnisola
|
GESÙ NOSTRO CONTEMPORANEO
A Roma dal 9 all'11 febbraio 2012
|
La domanda di Gesù di Nazaret: "Voi chi dite che io sia?" risuona anche oggi non meno provocante e ineludibile che nella cerchia dei primi discepoli, e poi nei secoli successivi. In questa domanda è implicita una seconda: chi è Gesù "per me", e anche "per noi", per il genere umano?
Con l'evento internazionale "Gesù nostro contemporaneo", che si svolge a Roma da giovedì 9 a sabato 11 febbraio 2012, il Comitato per il progetto culturale della CEI lancia un messaggio forte e una provocazione al dibattito pubblico, sottolineando la contemporaneità di Gesù, il suo carattere di persona viva, reale, portatrice di una luce e di una speranza capaci di orientare il cammino di un'umanità che è entrata in un tempo di grandi cambiamenti e di scelte di enorme portata. Sta qui la specificità che conferisce a Gesù un significato assoluto e universale, capace di toccare il cuore, di far sentire tutti ugualmente uomini, esaltati nella propria umanità e unicità.
È questo il messaggio che emerge dalle diverse sessioni e relazioni in cui è articolato l'evento (giovedì 9 febbraio "Accadde a Dio in Palestina", venerdì 10 febbraio "Ha unito a sé ogni uomo" e "Noi predichiamo Cristo crocifisso", sabato 11 febbraio "Il risorto Signore della storia"). Agli uomini del nostro tempo è riproposto Gesù, il Cristo crocifisso e risorto, di cui parlano da secoli le grandi opere della cultura e la fede umile e operosa di tanti fedeli. Questo percorso si snoda nei termini della cultura attuale, quindi con rigore critico e confrontandosi in maniera intellettualmente onesta con coloro che hanno di Gesù opinioni molto diverse. Proprio questo confronto, condotto non solo sul piano delle argomentazioni, ma su tutto l'arco dell'esperienza umana, costituirà il "sale" dell'evento. Info su: progettoculturale.it
Mary Attento
|
BLEU-FANTASME
BLEU-DESIR
BLEU-EPICE
BLEU-TENSION
Tra ermetismo e inquietudini la pittura di Fernand Khnopff
<- a sinistra: Khnopff, "I Lock My Door Upon Myself", 1891 (particolare)
|
Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo mentre l'illusione della ricostruzione estetica della società cade miseramente, sotto il peso di una quotidianità che non può essere emendata dall'arte, Fernand Khnopff, chiuso nella casa-studio nel cuore di Bruxelles, "la sua piccola e bella fortezza di sogno", trasfigura la prosaicità della realtà in opere ricercatamente enigmatiche.
La citazione della tradizione, filtrata attraverso le suggestioni di Moreau, Rossetti e Burne-Jones o singolarmente eccitata dall'influenza di Péladan e dei Salons de la Rose-Croix, si mescola inscindibilmente alla ricchezza delle tecniche utilizzate con puntigliosa precisione, per alimentare un ermetismo cerebrale e spaesante.
I dipinti realizzati sono enigmi complessi, che aspettano che qualcuno li risolva,distanti eppure stranamente attigui, tanto che di fronte ad essi si prova una strana sensazione di inquietudine. È come se senza permesso si fosse entrati in una stanza segreta, nel luogo in cui l'artista lontano da sguardi indiscreti mette a nudo le ossessioni, i timori, le incertezze di un mondo che sente ormai approssimarsi la fine. La torre d'avorio della sublime totalità è crollata rovinosamente sotto i colpi dell'introversione narcisista, che rappresenta l'inguaribile malattia della contemporaneità.
In realtà quello che Khnopff mostra, con la calcolata intenzione di toccare le più oscure fantasie di ognuno, è una perfetta mise en scène, in cui il sogno di un'algida armonia, di una parossistica ricerca del bello sottende l'incubo della solitudine, psicologica più che fisica. Di questo incubo, esemplare e oscuro male di un'epoca oltre che del singolo individuo, l'artista belga è uno degli interpreti più raffinati.
L'angoscia di vivere un tempo che non sente proprio e il dolore sordo dell'incomprensione si trasformano in incapacità al dialogo, in una sorta di guscio che racchiude e separa, impedendo ogni possibilità di relazione con il mondo, se non attraverso la pittura, segno ineludibile del complesso percorso verso la consapevolezza di sé, perché come l'artista amava ripetere "je n'ai que moi", sottolineando l'impossibilità di liberarsi del peso di quella insularità continuamente cercata, eppure rifuggita.
Nascono così gli inquietanti ritratti femminili o i criptici tableaux vivants in cui, rifuggendo ogni tentazione narrativa, sebbene spesso il rapporto con la letteratura sia profondamente sentito, lascia che il blu, "la spezia preferita della sua riflessione pittorica", dilaghi saturando di sé, come impalpabile vapore acqueo, ogni colore, per evocare il volontario esilio dalla pienezza della vita e, soprattutto, la difficoltà di essere contrapposta alla grazia di apparire.
La sfinge o le carezze (1896) |
Nelle opere, preziose come antiche miniature, impenetrabili come oscure sciarade, seducenti come gioielli di raffinata fattura, in apparenza non c'è traccia del proprio sentire: tutto è depurato di ogni emozione, tanto da apparire distante, al di là del tempo, in una dimensione in cui il presente si annulla in un passato rifondato criticamente. Allora il blu diventa il colore delle algide e spettrali presenze che animano ambigui cerimoniali, degli sguardi vuoti rivolti verso l'altrove e di una piccola ala che con costante persistenza appare come corona della testa di Hypnos. È enigmatica citazione del repertorio classico e arcana materializzazione dei rispecchiamenti culturali, che l'artista mette in gioco nella realizzazione di ogni singolo lavoro, a indicare l'ambizione spezzata, l'armonia perduta, l'isolamento ostinatamente costruito eppure tenacemente rifuggito.
Il blu, "incenso del cuore", inteso come metafora del desiderio ossessivo di trovare se stesso, per superare i turbamenti e gli smarrimenti di una sensibilità morbosa, domina in ogni gradazione non solo nei dipinti, ma anche nella casa progettata da lui stesso, sul filo della suggestione di Des Esseintes, il protagonista di A Rébours di Huysmans. È un santuario consacrato al culto silenzioso della bellezza, supremo capolavoro di una vita dedicata esclusivamente alla pittura, in cui la scelta del colore simboleggia il potere del sogno di aprire altri orizzonti, la possibilità di evasione dalla volgarità del quotidiano, la conquista della pace dell'anima, ma anche l'inevitabile tensione verso il nulla, che talvolta spinge Khnopff fino all'orlo del baratro, del vuoto insondabile da cui solo la forza sublimante dell'arte può salvarlo.
Loredana Rea
Robert L. Delevoy, Fernand Khnopff, Bruxelles, 1979, p. 45
Jean Delville, Notice sur Fernand Khnopff, in Annuaire de l'Accadémie Royale des Sciences, des Lettres e des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles, 1925, p. 1
Ludwig Hevesi, Acht Jahre Secession, Vienna, 1906, p.32
Robert L. Delevoy, op. cit., p. 48
|
IL DIVISIONISMO ITALIANO
A ROVIGO
Palazzo Roverella
25 febbraio-24 giugno 2012
<- a sinistra: Gaetano Previati, "Nel prato"
olio su tela, 1890, Galleria d'Arte Moderna
di Palazzo Pitti, Firenze
sotto: Giacomo Balla, "Ritratto all'aperto"
olio su tela, 1902
Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma
|
Per Palazzo Roverella si annuncia un altro grande evento culturale. Il 25 febbraio sarà inaugurata la mostra "Il Divisionismo italiano" a cura di Dario Matteoni e Francesca Cagianelli. Una riflessione sulla luce e sulla scomposizione del colore, indagando i ruoli e i contributi delle personalità artistiche italiane nella rappresentazione teorica e artistica del Divisionismo italiano. Saranno esposte le opere di grandi nomi dell'arte italiana come Segantini e Pellizza da Volpedo, opere tutto sommato minori, ma la qualità della mostra si legge nella gamma delle presenze, che apre alle inclinazioni regionalistiche testimoniando come il Divisionismo sia stato in Italia un movimento esteso. Il percorso, diviso in sei sezioni, intende allargare la prospettiva critica ad artisti che in modo episodico sono stati annessi al Divisionismo e propone una riflessione più attenta sul ruolo di personalità come Vittore Grubicy de Dragon o Plinio Nomellini. Un cammino che permetterà di ampliare e valorizzare le geografie di un movimento che incrocia le diverse tradizioni regionali e mutazioni stilistiche, spesso in contro-tendenza rispetto al verismo ottocentesco. Tali riflessioni si prolungano fino alle avanguardie e allargano lo sguardo non solo sui protagonisti ormai consacrati, ma anche verso coloro che seppero individuare autonome sperimentazioni luminose. Significativo è il ruolo di Giacomo Balla, tra i maestri del divisionismo, capofila di tutta una generazione che aveva colto nel divisionismo l'occasione per una redenzione dalle convenzioni accademiche. E se negli anni torinesi faceva tesoro delle novità di Pellizza, Morbelli e Segantini, a Roma elaborerà un linguaggio divisionista in totale autonomia, al quale contribuiranno le conoscenze assimilate durante il periodo parigino, in altre parole impressionismo e postimpressionismo. La mostra ricorda anche la storica Sala Divisionista della Biennale del 1914, fino a giungere alla straordinaria stagione divisionistica di Umberto Boccioni e Gino Severini che condividono con Balla l'avventura, fino alla nascita della riflessione futurista. Lo stesso Carlo Carrà, giunto a Milano nel 1895, sedotto dalle suggestioni segantiniane e impressionato dall'incontro con Previati, nel 1909 stringerà amicizia con Boccioni, Russolo e Marinetti, redigendo quel Manifesto del Futurismo che segnerà la frattura con la breve ma densa stagione divisionista.
Giuliana Albano
|
INCANTI DI TERRE LONTANE:
HAYEZ, FONTANESI E LA PITTURA ITALIANA TRA
OTTO E NOVECENTO
Reggio Emilia, Palazzo Magnani
4 febbraio - 29 aprile 2012
<- a sinistra: Antonio Fontanesi
Ingresso di un tempio in Giappone
Preparazione a chiaroscuro su tela, 1878-79
Reggio Emilia, Musei Civici
sotto:
Francesco Hayez, Ruth, Olio su tela, 1853
Bologna, Collezioni Comunali d'Arte |
Un titolo articolato per dar conto delle diverse anime che danno vita a questa esposizione. I due protagonisti innanzitutto, Hayez e Fontanesi. L'Oriente del primo è quello vicino, mediterraneo, non direttamente vissuto ma sapientemente evocato. Quello del secondo, invece, è l'Oriente estremo, il lontano Giappone, regno che lo ospitò a lungo. Intorno ai due, i molti altri che lungo gran parte di questo secolo, l'Ottocento appunto, hanno descritto gli incanti, le seduzioni di terre ai più ignote e per questo ancora più affascinanti. Una attenzione peculiare la mostra riserva, anche per ragioni di nascita reggiana, a Antonio Fontanesi. Egli, tra il 1876 e il 1878, venne chiamato, insieme al altri artisti italiani, ad insegnare all' Accademia di Belle Arti d Tokyo, restituendo immagini disegnate e dipinte del Giappone interpretate dal suo squisito linguaggio lirico. Nella sua produzione pittorica di soggetto orientale non sono che poche unità: tre dipinti, tra cui uno non ultimato e alcuni disegni a matita.
Preziose e rare testimonianze raccolte per la prima volta in una mostra. In esposizione anche un centinaio di opere degli Orientalisti italiani e alcuni dei più importanti dipinti di Francesco Hayez. A Palazzo Magnani si potranno infatti ammirare l'Odalisca della Pinacoteca di Brera, la Ruth delle Collezioni Comunali di Bologna e Un'odalisca alla finestra di un Harem di una nota collezione privata.
Giuliana Albano
|
MENO TASSE PER CHI
INVESTE IN CULTURA
Il Ministero informa sulle erogazioni liberali
destinate ai beni culturali e allo spettacolo
|
Ci sono importanti novità stabilite dal Ministero per i Beni Culturali riguardo alle erogazioni liberali, ossia quelle liberalità in denaro a favore del settore pubblico o del settore privato no profit che possono costituire fiscalmente, a secondo della tipologia del soggetto erogatore, oneri deducibili dal reddito (imprese) o oneri detraibili dall'imposta sul reddito (persone fisiche e enti non commerciali).
Va premesso che investire in cultura significa investire nella crescita economico-sociale del Paese attraverso una azione comune di risorse pubbliche e private. Un contributo molto importante è costituito, appunto, dalle erogazioni liberali effettuate da imprese, persone fisiche e enti non commerciali che decidono di destinare una parte delle proprie risorse all'arte. "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Tutela e valorizza il patrimonio storico e artistico della nazione" (art. 9 della Costituzione della Repubblica Italiana).
Queste le novità per le erogazioni liberali che saranno effettuate a partire dal 2012. Il decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici convertito in legge in data 22 dicembre 2011, con n. 214 pubblicata sulla G.U. n. 300 del 27.12.2011 - Supp. Ordinario n. 276, ha introdotto significativi cambiamenti relativi alle erogazioni culturali a favore della cultura. In particolare: l'art. 40, comma 9 prevede una riduzione degli adempimenti amministrativi per le imprese e per i cittadini che intendono effettuare erogazioni liberali a favore dei beni ed attività culturali ai sensi dagli articoli 15, comma 1, lettere g) ed h) e art. 100 comma 2, lettere e) ed f) del testo unico delle imposte sui redditi. La documentazione e le certificazioni attualmente richieste sono sostituite da un'apposita dichiarazione sostituiva dell'atto di notorietà; l'art. 42, comma 9 prevede che le somme elargite da soggetti pubblici e privati, per fini rientranti nei compiti istituzionali del Ministero per i beni e le attività culturali, siano riassegnate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze al Ministero per i beni e le attività culturali.
Per tutte le informazioni visitare la pagina del Ministero
Mary Attento
|
|
biblionline
di Mary Attento
Flavio Caroli
Storia della fisiognomica.
Arte e psicologia da Leonardo a Freud
Electa, pp. 288, ill. 130 euro 19,90
"Farai delle figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell'animo: altrimenti la tua arte non sarà laudabile" affermava Leonardo da Vinci. Lo studio degli effetti dei moti dell'animo sul corpo è introdotto nell'era moderna da Leonardo, autore di un Trattato sulla Fisiognomica che anticipa idee che porteranno allo sviluppo della psicologia e alla fondazione della psicanalisi.
Flavio Caroli, tramite una grande documentazione letteraria e iconografica, ripercorre la storia del rapporto tra arte e psicologia suddividendo il racconto in cinque capitoli, corrispondenti ai secoli attraversati: da Leonardo fino alle ampie dissertazioni di Lombroso e Freud e alle drammatiche raffigurazioni di Francis Bacon.
In questi secoli la raffigurazione dell'uomo nell'arte si intreccia con l'evoluzione del pensiero scientifico e Flavio Caroli - ordinario di Storia dell'Arte moderna presso il Politecnico di Milano - ne ripercorre i parallelismi con raffronti documentati: Tiziano e l'interesse per lo zoomorfismo; il realismo psicologico di Caravaggio; le caricature di Carracci; la "sontuosa voracità interiore' dei ritratti di Rubens; la "potenza introspettiva' di Velázquez; la complessità psicologica del ritratto della "povertà' nel Settecento; la rappresentazione della Follia nei volti di Géricault che con Van Gogh diventa, espressivamente, totale disintegrazione dell'Io; i volti distorti di Baselitz; l'emblematica trasfigurazione di alcune tele di Pollock.
Stefano Calicchio
ARTISTA 2.0
ebook, prima edizione 2011 Lulu Editions,
pp. 157 euro 16.99
Artista 2.0 è un manuale pratico che spiega come promuovere e vendere le opere d'arte attraverso il web. Tra i contenuti: inserire annunci riguardanti le opere, contattare e gestire critici e giornalisti tramite il web, ottenere articoli e recensioni, ricevere raccomandazioni scritte da parte dei clienti per poterle pubblicare online, segnalare le opere nei principali motori di ricerca, modalità e consigli per sponsorizzare on line l'attività artistica, scrivere e pubblicare comunicati stampa artistici on line, rivendere su internet i diritti di utilizzo delle opere.
Perché i contenuti di questo libro sono così rivoluzionari? Perché svelano per la prima volta in Italia agli artisti indipendenti il know how della promozione e della vendita nel mercato artistico on line utilizzato dalle gallerie d'arte tradizionali e dagli artisti affermati per vendere la propria arte sul web.
"La rivoluzione del mercato digitale avvenuta con la crescita del web" spiega l'autore "è un mondo quanto mai affascinante, che ha completamente cambiato non solo le carte in tavola, ma le stesse regole del gioco della distribuzione artistica. Nel libro ho cercato per la prima volta di codificare e dare un ordine alle nuove opportunità artistiche provenienti dal web. Un'occasione che difficilmente un artista indipendente che vuol far crescere la propria carriera può lasciarsi sfuggire".
Michele Giocondi
I best seller italiani. 1861-1946
Mauro Pagliai Editore, pp. 272,
ill. b/n, euro 20,00
Un'antologia originale, un cammino nella storia sociale del nostro Paese. "I best seller italiani. 1861-1946" è uno studio approfondito dei titoli più venduti nel periodo del Regno d'Italia, o meglio dei libri più letti dalla nascita del Regno d'Italia alla sua scomparsa.
Il volume, frutto di uno scrupoloso lavoro di ricerca ad opera di Michele Giocondi, esperto di storia dell'editoria e del mercato librario, individua una lunga serie di scrittori accomunati dalla fortuna commerciale: di ognuno, insieme a un profilo della vita e dell'opera, è riproposto un brano tratto dal libro più venduto, con numerose schede di approfondimento che consentono di far luce sui vari aspetti della letteratura "di massa". Sono stati individuati, infatti, i libri che la gente effettivamente leggeva: non gli autori che compaiono nelle storie della letteratura, ma quelli che riempivano le vetrine dei librai, non i grandi classici, ma quelli (magari politicamente sconvenienti, licenziosi o controversi) che appassionavano centinaia di migliaia di persone. Accanto a molti scrittori di cui avevamo quasi perso la memoria compaiono ovviamente anche alcuni padri della nostra letteratura. D'Annunzio come Guido da Verona, Fogazzaro come Luciano Zuccoli, De Amicis come Salvatore Farina, Collodi come Carolina Invernizio.
Rivolta al largo pubblico come pure agli italianisti e al mondo dell'editoria, l'opera parte dalle origini dell'industria editoriale per condurre la riflessione, in realtà, su fenomeni contemporanei quali Faletti, Tamaro, Melissa P., Camilleri: oggetto, probabilmente, di un secondo volume.
Marino Buzzi
Un altro best seller e siamo rovinati
Mursia, pp. 128 euro 9,90
Del 42% dei libri che vanno in libreria non si vende una copia. Nemmeno una. Da qui l'idea di scrivere "Un altro best seller e siamo rovinati - Diario semiserio di un libraio", da poche settimane in libreria preceduto da un booktrailer che ha suscitato molto interesse anche fra i non addetti ai lavori. Marino Buzzi, un libraio di oggi, nativo digitale a suo agio sia con la carta stampata sia con la rete dove cura anche il blog Cronachedallalibreria, ha voluto raccontare le disavventure di un libraio nell'epoca del mass market editoriale.
Si comincia con il Natale quando il povero libraio vive come "su un galeone in mezzo alla burrasca tra pile di libri che dovrebbero essere dei best seller, un'orgia di testi sulla cucina delle feste che di lì a poco saranno sostituiti da analoghe pile sulle diete postnatalizie". Si passa poi ai mesi calmi, si fa per dire, del nuovo anno. E qui il libraio deve vedersela con il problema del budget, incubo soprattutto nelle librerie di catena: come fare a convincere i visitatori a comperare? E allora via, spostare le pile, massificare (ovvero formare le pile per dare al cliente l'idea del best seller incombente), far ruotare i volumi sugli scaffali a velocità supersonica. La primavera è periodo di vigilia di premi letterari. "Vi siete mai chiesti perché un autore pubblicato da piccole realtà editoriali non abbia mai vinto un premio importante?". Il sospetto che più della qualità del testo sia la forza economica della casa editrice a fare la differenza è forte. Sopravvissuto all'estate con le novità da ombrellone, ecco arrivare il periodo dei libri scolastici. Ed è allora che un vero libraio si riconosce: è quello che tiene a bada orde di mamme in crisi isterica, ragazzini che baratterebbero volentieri i testi obbligatori con una maglietta. In presa diretta un anno in libreria, dove dovrebbero entrare ogni anno i 70mila nuovi titoli che si pubblicano in Italia...
INFO MOSTRE
di Giuliana Albano
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Ragazzo morso dal ramarro, 1593-94, olio su tela, Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto Longhi
CARAVAGGIO, COURBET, GIACOMETTI, BACON, MISERIA E SPLENDORE DELLA CARNE. TESTORI E LA GRANDE PITTURA EUROPEA
Ravenna, MAR- Museo d'Arte della città di Ravenna
12 febbraio - 17 giugno 2012
La mostra curata da Claudio Spadoni, dedicata a Giovanni Testori pittore, drammaturgo, giornalista e sensibilissimo storico e critico d'arte, si articolerà in diverse sezioni dedicate alla grande arte europea dal '500 al '900 ricostruendone la sua complessa vicenda critica. Le sezioni sono dedicate ai vari periodi della storia dell'arte studiati dal critico milanese e agli artisti da lui amati, a partire dai suoi primi scritti su Manzù, Matisse, Morlotti, poi i francesi Courbet e Géricault; dagli approfondimenti e le riscoperte sulla linea della pittura di realtà in Lombardia del Cinquecento (Gaudenzio Ferrari, Foppa, Savoldo, Romanino, Moretto) e del Seicento (Moroni, Ceresa, Fra Galgario, Ceruti), i "manieristi" lombardo piemontesi (Cerano, Morazzone, Tanzio da Varallo, Daniele Crespi, Cairo) accompagnati da Caravaggio, sua grande passione dichiarata, passando attraverso l'attenzione a figure della Nuova Oggettività (Dix, Grosz, Radzwill), Nuovi Selvaggi (Fetting, Hodicke, Zimmer, Salomè) e Nuovi Ordinatori (Albert, Chevalier, Schindler, Merkens), e artisti come Bacon, Giacometti, Sutherland, Sironi, Guttuso, Gruber, Marini, Vacchi, Varlin, Jardiel, Vallorz, Rainer - per citare alcuni nomi - per giungere fino a Cucchi e Paladino. Di ognuno di questi artisti saranno esposte diverse opere, in alcuni casi quelle stesse scelte e possedute da Testori. La rassegna presenterà anche un omaggio Testori con selezione di ritratti fra i tanti eseguiti da diversi pittori per lo studioso.
Sotto:
Gustave Courbet, Cascade de la Pissouse, olio su tela, collezione privata
|